
Latte S. Ginese: licenziamenti inaccettabili
L’avvio della “Procedura di licenziamento collettivo per cessazione attività” da parte della nota Cooperativa Arborea ci sorprende e ci preoccupa.
La decisione, improvvisa per i 26 lavoratori e per la comunità capannorese, assunta dai vertici aziendali di disfarsi dello stabilimento di S. Ginese a distanza di pochi anni dall’acquisizione nel 2018, avvenuta con l’obiettivo di rilanciare il marchio lucchese sui suoi mercati storici in Toscana e in Liguria, garantendo continuità occupazionale e nella commercializzazione dei prodotti capannoresi, arriva secondo modalità e tempistiche irricevibili, riconducendo strumentalmente la causa all’insufficiente conferimento di latte toscano (con particolare riferimento a quello della Garfagnana) nonostante gli interventi a supporto dei produttori locali messi in atto dalla cooperativa stessa.
È noto che il mercato del latte è un mercato estremamente volatile, dove i prezzi cambiano repentinamente da un anno all’altro a causa della non facile adattabilità tra la domanda e l’offerta, che vede momenti di sovraproduzione e momenti di sottoproduzione. E’ altrettanto noto che i consumi di latte fresco (prodotto storicamente prodotto nello stabilimento di S. Ginese) tendono a diminuire e che i consumatori riservano maggiore attenzione alle intolleranze, facendo crescere il consumo di latte/non latte di derivazione vegetale. Pur tuttavia, il punto su cui si deve riflettere è di carattere più generale e ha a che vedere con la crescente insostenibilità della filiera: negli ultimi dieci/quindici anni abbiamo assistito ad una progressiva concentrazione della produzione, una riduzione dei costi per recuperare marginalità sul prodotto e, in ultimo, un crescente peso della Grande distribuzione organizzata e dei maggiori soggetti acquirenti nelle dinamiche produttive e nella definizione dei prezzi alla stalla. I rapporti di filiera, quindi, sono da tempo pesantemente destabilizzati con uno spostamento della valorizzazione sulla fase distributiva a discapito di quelle trasformativa e direttamente produttiva.
Se all’insostenibilità di lungo periodo già ampiamente dimostrata della filiera si aggiunge l’aumento dei costi dell’energia e dei mangimi che ha determinato l’impennata de costi di produzione, ecco che si delinea un quadro pericolosissimo per tutto il comparto nazionale (non soltanto toscano). Questo processo in atto finisce per mettere in crisi la filiera in più punti: soffrono i produttori e soffrono anche i centri di conferimento “più piccoli” o meno dinamici o meno capaci di stare sul mercato, che al pari dei produttori non fanno il prezzo, ma lo subiscono. E se la remunerazione dei fattori produttivi non è adeguata, si uccidono le produzioni locali e si favorisce il latte industriale, magari di provenienza estera, e si assegna un potere assoluto a poche multinazionali o a pochi grandi player.
La chiusura dello stabilimento di S. Ginese, per quanto possa rappresentare una modesta realtà periferica, è probabilmente soltanto il primo preoccupante segnale in Toscana di una crisi di sistema.
Se e in che misura la Cooperativa Arborea rientri nel novero delle “vittime” è difficile a dirsi. Ci stupisce tuttavia che la decisione della Cooperativa di chiudere lo stabilimento capannorese arrivi senza aver attivato il tavolo di crisi regionale: questo atteggiamento da parte dell’azienda ci fa pensare che l’obiettivo sia quello di disfarsi rapidamente di un asset produttivo di fatto considerato non più redditizio, senza correre il rischio di doversi accollare i costi di un salvataggio/rilancio in cui non si crede e non si spera più. Con buona pace delle famiglie colpite dagli effetti della chiusura delle attività.
“È il mercato bellezza!”, qualcuno potrebbe obiettare, ma l’errore sta proprio qui, nell’attribuire al mercato proprietà taumaturgiche di carattere neutrale. Le dinamiche di mercato sono tutt’altro che neutrali e, se non governate, possono innescare ricadute preoccupanti dal punto di vista non soltanto economico, ma anche sociale ed ambientale.
Il recupero del latte come prodotto di valore deve perciò passare, certamente da un sostanziale riequilibrio del sistema produttivo, che investa l’intera filiera e che risolva inefficienze, esternalità e asimmetrie, ma anche dalla tutela e dal sostegno alle realtà produttive piccole e piccolissime al di là e nonostante gli incerti fondamentali economici, poiché queste svolgono un ruolo determinante nella rivitalizzazione delle economie locali rurali, nella tutela del paesaggio e dell’ambiente, nel processo di transizione ecologica e, in tantissimi casi, nella valorizzazione di percorsi di integrazione sociale. La filiera che coinvolge l’economia rurale è un bene pubblico che va protetto e garantito.
Il mancato rispetto dell’accordo raggiunto in sede ministeriale con i maggiori acquirenti di latte per un incremento del prezzo alla produzione di 4 centesimi al litro, ha purtroppo messo in luce l’inadeguatezza delle iniziative messe in campo anche ai più alti livelli istituzionali e l’arroganza degli interlocutori diretti dei produttori.
Risulta quindi ancora più urgente l’avvio, da una parte, di una iniziativa coordinata a tutela dei lavoratori e delle lavoratrici che coinvolga le parti sociali e tutti i livelli istituzionali necessari, capace di impedire i licenziamenti e di aprire una trattativa con l’azienda e, dall’altra, di un tavolo di filiera a livello regionale, con rappresentanti della GDO e del ramo HO.RE.CA., delle aziende di produzione e trasformazione, dei produttori, dei sindacati, delle organizzazioni professionali, delle centrali della cooperazione, degli istituti di credito, dei Consorzi fidi, per approfondire la situazione dell’intero comparto e ricercare soluzioni rapide, efficaci e adeguate.
La battaglia a fianco dei lavoratori e dei sindacati dell’ex S. Ginese, per il mantenimento del sito produttivo, dell’occupazione, della filiera del latte e dello storico marchio S. Ginese deve essere combattuta nella consapevolezza che la loro lotta ci riguarda tutti.